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Fitoterapia

Se è vero che ogni professione ha il suo Santo patrono, forse anche la depressione ha il suo.

Potrebbe essere San Giovanni, non tanto per la vita e le azioni del Santo, quanto perché in questo periodo dell’anno (24 giugno – San Giovanni) fiorisce una pianta medicinale che ha assunto la dignità di farmaco per il trattamento della depressione: l’iperico.

Il nome scientifico dell’iperico, Hypericum perforatum, deriva da Hyper-eikon “pianta che cresce sulle vecchie statue” e da “perforatum”, dalle vescicole rosse che si notano sui petali del fiore. Gli antichi usavano questa pianta secondo la teoria delle segnature per curare le ferite. Infatti, facendo macerare i fiori in olio di oliva, si ottiene il cosiddetto “olio di iperico” utile oggi come allora per curare le ferite e per il suo potere antiinfiammatorio.

Ma per alleviare i sintomi della depressione non si utilizza questa preparazione, bensì l’estratto in toto delle parti aeree della pianta.

L’iperico ci da anche l’occasione di comprendere a fondo quanto il sia importante il fitocomplesso di una pianta: l’effetto antidepressivo non si riesce ad ottenere utilizzando una molecola in particolare presente nell’estratto, ma solo somministrando l’estratto in toto.

Infatti, i componenti attivi che si erano individuati (ipericina ed iperforina), presi singolarmente o sono troppo deboli (ipericina) o si degradano troppo velocemente (iperforina). Solo con la contestuale presenza dei flavonoidi presenti nella pianta si riesce a stabilizzare l’iperforina e potenziare l’effetto dell’ipericina.

La maggior parte dei testi che ci provengono da questo periodo storico li dobbiamo alla diffusione del monachesimo ed in particolare a San Benedetto, che fonda il monastero di Montecassino nel 529, con la regola “Ora et labora”. Nei monasteri erano presenti sia delle strutture dette “Hortus conclusus”, dove si coltivavano le erbe, sia delle Spezierie, dove si confezionavano i medicamenti.

Nascono quindi i primi ospedali: Santa Maria Nova a Firenze 1288 e Santa Maria della Scala a Siena 1090, e le università (Bologa metà XII sec, Padova 1222).

In più, appaiono le prime “Arti o Corporazioni”, il cui fine era di affermare e difendere le competenze professionali e gli interessi dei propri membri. Nascono quindi gli “speziali”, che pur facendo parte della stessa corporazione, si dividono i compiti tra “medico” e “preparatore” (diremmo oggi “medico” e “Farmacista”) con compentenze ed obblighi diversi.

La medicina cinese ed ayurvedica ancora oggi considerano le patologie anche come una combinazione dei diversi agenti patogeni derivati dalla teoria dei 5 elementi.

Urtica dioica o Urtica urens? Sono i due nomi con cui si identifica la stessa pianta: la “comune” ortica.

I due nomi nascono da due peculiarità della pianta: la prima, “dioica”, dal fatto che esiste l’ortica “maschio” e l’ortica “femmina” (come per il gingko biloba) ; la seconda dalla sensazione “urente” che consegue il contatto con le foglie.

La sensazione di bruciore è determinata dalla rottura dei peli silicei sulla superficie della foglia. I peli, rompendosi, creano delle micro-lesioni cutanee nelle quali iniettano sostanze urticanti (istamina, acido formico, etc).

Le proprietà urticanti dell’urtica non sono solo fastidiose: anzi! Uno studio condotto da Randall nel 2000 ha evidenziato come l’applicazione di una foglia di urtica su dita artrosiche riesca a ridurre sensibilmente il dolore. Questo applicando una foglia fresca sulla parte dolente una volta al giorno per una settimana.

Le foglie possiedono interessanti proprietà antiinfiammatorie, grazie al contenuto di flavonidi che acidi che inibiscono la sintesi di prostaglandine e leucotrieni.

Inoltre, possono essere utilizzate come diuretico, con un’azione tanto importante da riuscire a ridurre anche la pressione sistolica.

Se le foglie, benchè con le interessanti proprietà di cui sopra, sono state soppiantate da altre piante nella pratica fitoterapia e conosciute più come ingrediente culinario (chi ha detto “canederli alle ortiche”?), le radici stanno trovando sempre più applicazioni.

La betulla viene anche detta “albero della saggezza”.

Sicuramente è un albero dalle numerose proprietà salutistiche, che si raggiungono sia con l’utilizzo delle foglie, che con l’uso di preparati a partire dal tronco della stessa.

Dal tronco, infatti, si ricava la linfa di betulla, che viene raccolta all’inizio del mese di marzo, praticando dei fori obliqui sul tronco dell’albero a circa un metro da terra.

In questi fori vengono quindi inseriti dei tubi, dai quali sgorga la linfa dell’albero in grandi quantità: si pensi che una pianta con diametro del tronco di 50cm riesce a produrre quasi un litro al giorno di linfa.

Nella pratica gemmoterapica, la linfa di betulla viene consigliata come drenante e per il trattamento della cellulite. Riduce contemporaneamente l’impastamento della pelle e la componente algica oltre alla ritenzione idrica tipica dell’inestetismo.

Sempre dal tronco si può ricavare un liquido oleoso, noto come catrame vegetale di betulla che viene utilizzato, per trattare eczemi e psoriasi. Si è osservato, infatti, che le proprietà cheratolitiche ed antiinfiammatorie del catrame vegetale bloccano la replicazione eccessiva delle cellule basali dell’epidermide, condizione alla base per le patologie dermatologiche citate.

Ma parlando di betulla non possiamo dimenticarci delle foglie di questa pianta.

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