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Omeopatia

La medicina Antroposofica pone molta importanza nella nostra pelle: essa è l’organo di separazione tra noi e il resto del mondo, tra ciò che è dentro di noi e ciò che è fuori di noi.

Dotata di grande capacità rigenerativa e di scambio, è spesso utilizzata per trattamenti esterni (impacchi, impiastri, massaggi, bagni) che si rivelano utili per migliorare le condizioni di organi interni.

Una pratica molto comune nei trattamenti antroposofici è quella di immergere il paziente in vasche contenenti particolari miscele di olii essenziali disperse in acqua calda e studiate caso per caso. Questi bagni in dispersione oleosa vengono preparati avvalendosi di uno strumento molto particolare: l’apparecchio Junge.

Doderlein era un ginecolo tedesco che, nel 1892 scoprì nell’apparato genitale femminile alcuni batteri.

Tali batteri, ribattezzati in seguito “Flora del Doderlein”, fanno capo al genere lactobacillus e alle specie acidophilus, rhamnous e plantarum.

Il nome di questi batteri deriva dalla loro capacità di digerire il glicogeno producendo come sostanza di scarto l’acido lattico, sostanza che consente di portare il pH della zona vaginale tra il 4 ed il 4,5.

Il mantenimento del corretto valore di pH è cruciale in quanto rende la zona inadatta alla colonizzazione da parte di batteri o funghi patogeni od opportunisti (vaginiti e candidosi).

Ma non è solo regolando il pH che questi fermenti lattici proteggono l’apparato genitale femminile. Infatti, producono veri e propri antibiotici naturali: perossido di idrogeno, biosurfattanti e batterionicine, competono (e dominano) per i nutrienti e i recettori che permettono l’adesione alla mucosa e lo sviluppo di colonie.

Tutto questo può venire danneggiato dall’utilizzo di farmaci antibiotici, che eliminano sia i batteri patogeni che la flora batterica del doderlein, alterando lo stato fisiologico della mucosa intima.

Proprio per questo, negli ultimi anni si fa sempre più forte la richiesta di una terapia che abbia come scopo il mantenimento della corretta flora batteria, che da sola è in grado (come si è potuto vedere) di predisporre rimedi agli attacchi dei patogeni.

Anodorhynchus hyacinthinus: questo è il nome del pappagallo volatore più grande al mondo, originario del Perù e altrimenti conosciuto con il nome di Ara giacinto.

Oltre al suo piumaggio deliziosamente colorato che ama sfoggiare, l’ara giacinto passa le giornate a sgranocchiare pasti a base di semi, di cui è ghiotto.

Nonostante questi semi siano ricchi in alcaloidi, sostanze chimiche tossiche, l’Ara giacinto raggiunge tranquillamente gli 80 anni di età.

Il segreto della sua longevità viene ricondotto anche a una curiosa abitudine che lo vede recarsi al fiume dopo pasto per beccare una copiosa quantità di argilla, della quale sfrutta le potenzialità detossificanti.

L’Argilla altro non è che un silicato di alluminio che compone il 42% delle terre emerse del nostro pianeta e che si trova in diverse colorazioni a seconda della quantità di Ferro che contiene e dello stato di ossidazione dello stesso: avremo argille bianche (prive di Ferro), verdi (contenenti Fe2+, facilmente assimilabili dal nostro intestino), e rosse (contenenti Fe3+).

Dell’osteoartrite ci eravamo già interessati in precedenti articoli (QUI), parlando soprattutto dell’arnica.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i veterinari utilizzano assieme all’arnica assieme ad una “Spalla”: un complesso omeopatico composto da cartilago suis, embryo tot suis, placenta suis, solanum, dulcamara, symphytu, nad, coenzyme A, rhus tox, acido alfa lipoico, arnica e sulfur.

Questo complesso, confrontato con il caprofene (comune farmaco antiinfiammatorio) per risolvere i sintomi dell’osteoartrite, ha dimostrato un’efficacia paragonabile al farmaco di sintesi. Dopo 56 giorni di cura, sia il dolore, che la rigidità nei movimenti, che la zoppia erano migliorati con entrambe le terapie, con il vantaggio, negli animali trattati con il rimedio omeopatico, della riduzione degli effetti collaterali.

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