Le cheratocongiuntiviti vernali sono un a patologia infiammatoria della superficie oculare.
Avvengono comunemente nella prima decade di vita, e solitamente nelle zone temperate del globo terrestre. La patogenesi della cheratocongiuntivite sembra avere basi immunitarie, nervose ed endrocrine. I più comuni sintomi oculari sono lacrimazione, irritazione, arrossamento oculare e fotofobia. Sebbene la cheratocongiutivite abbia solitamente una prognosi benevola, la scarsa sicurezza riguardo l’origine della malattia rendono il trattamento una sfida per pediatri e oculisti.
A causa della mancanza di una scala di gravità condivisa, non c’è consenso mondiale circa i trattamenti di prima e di seconda scelta. La scelta per il trattamento di media-lunga durata ricade sulla ciclosporina topica o sul tacrolimus.
La concentrazione cui utilizzare questi farmaci è estremamente variabile. Uno studio italiano apparso nel 2010 suggeriva l’utilizzo di un collirio di ciclosporina in base oleosa alla concentrazione dell’1%. Dopo 4 mesi di trattamento i valori di infiammazione erano decisamente minori rispetto alla condizione di partenza. La ciclosporina non ha mai avuto concentrazioni sieriche significative, evitando quindi effetti collaterali sistemici, né ha danneggiato le cellule endoteliali.
Gli studiosi hanno voluto analizzare anche i risultati di un collirio più concentrato, al 2% di ciclosporina. Anche a questa elevata concentrazione, i segni e sintomi della cheratocongiuntivite si sono ridotti già dopo 2 settimane di trattamento senza tuttavia registrare particolari effetti collaterali.
Ma se invece che raddoppiare, la dose si dimezzasse? Anche in questo caso, e su pazienti resistenti al trattamento con corticosteroidi, la ciclosporina in collirio allo 0,05% riesce a ridurre segni e sintomi della patologia (5su 6 per la precisione), senza particolari effetti collaterali.
A queste basse concentrazioni, il collirio di ciclosporina è stato utilizzato anche per risolvere alcuni sintomi manifestati dopo interventi di cataratta.
Ci si affida quindi all’esperienza e conoscenza del medico prescrittore per individuare la dose minima efficace, ben sapendo che in ogni caso, l’efficacia è pressochè certa già dopo poche settiamane.
In conclusione, quello che ci dicono gli studi è: Prima si cura la cheratocongiuntivite, meglio è.
Infatti, i pazienti che sono riusciti per primi ad avere una diagnosi corretta sono anche quelli che hanno avuto una riduzione dei sintomi maggiore (assieme a coloro che hanno protratto la cura per più tempo). E tutto questo viene applicato sia su pazienti umani che animali (cani, gatti, etc).
Prima e bene...conviene!
Luca Guizzon
Fonti:
- “An Update on the Therapeutic Approach to Vernal Keratoconjunctivitis” Susanna Esposito, Giulia Fior Alessandro Mori Silvia Osnaghi Daniele Ghiglioni Susanna Esposito, Pediatric Drugs
October 2016, Volume 18, Issue 5, pp 347–355